domenica 29 marzo 2020

Sul campo, (da) dentro e a distanza: il racconto fotografico della pandemia


sandrobini > italy lockdown / marzo 2020

Lo so, sicuramente è ancora presto per avere un quadro complessivo di quelle che sono e che saranno le strategie fotografiche del racconto della Pandemia da Corona Virus. Ma dalla mia prospettiva, sicuramente parziale e soggettiva, proverò a individuare (a mio rischio e pericolo) quelle che, secondo me, sono e saranno le tendenze principali. Dopo questo preambolo, ancora una premessa. Prenderò un esame non solo la produzione professionale ma anche quella autoriale e di massa, perchè l'immaginario e la memoria collettiva di questa catastrofe sanitaria-economica-sociale passerà da ogni tipo di immagine capace rimanere impressa nella nostra memoria, al di là del suo scopo e della sua provenienza. Una prima distinzione fondamentale, evidente fin dal titolo di questo articolo, sta, secondo me, nella fenomenologia della produzione iconica: sul campo, (da) dentro e a distanza.

Produzioni sul campo.
Con questa locuzione intendo quelle fotografie realizzate dai fotografanti (professionisti o amatori non importa) in esterno, al di fuori delle loro abitazioni. In tale ambito, secondo me, è possibile individuare fino a questo momento cinque grandi filoni: le fotografie delle città deserte, quelle dei runners e i capannelli di persone prima dell'inasprimento delle misure restrittive,  le code ai supermercati, le persone affacciate ai balconi e alle finestre, le fotografie dal fronte delle terapie intensive e delle produzioni e servizi "indispensabili".

Per quanto riguarda i primi quattro filoni (le città deserte, le file ai supermercati, i runners e i capannelli di persone e la gente alle finestre e ai balconi), dopo una prima fase,  in cui il contributo dei non professionisti è stato, almeno quantitativamente rilevante, le misure di contenimento hanno fatto si che queste potessero essere realizzate per lo più dai fotogiornalisti. Anche se per ognuno di noi con le fotocamere dei nostri smartphone diventa difficile resistere alla tentazione di farlo anche nelle brevi fuoriuscite per fare la spesa. Importante sarà capire come e perché, fra tutte le foto che sono e saranno pubblicate, alcune avranno maggiore impatto mediatico e resteranno impresse nella nostra memoria collettiva.

Per quanto riguarda, invece, le fotografie dal fronte delle terapie intensive e delle attività lavorative ritenute essenziali, il contributo maggiore (visto le oggettive e giustificate difficoltà di accesso) viene dagli stessi addetti ai lavori con alcune immagini che grazie alla loro diffusione mediatica e social sono già divenute molto popolari.

Produzioni (da) dentro. 
Questo filone, molto praticato, riguarda le fotografie che raccontano la Quarantena dall'interno delle nostre abitazioni. Diari fotografici che mostrano e raccontano in maniera narrativa e/o concettuale, drammatica o ironica, l'isolamento, la preoccupazione, la noia, la vita domestica e familiare nelle nostre case. Qua non ci sono grosse distinzioni, professionisti e amatori, si danno tutti da fare. Le idee sono più o meno originali gli stili i più disparati. Sarà interessante vedere e capire cosa resterà di tutta questa enorme quantità di immagini nel nostro immaginario. A tal proposito sono nate molte iniziative da parte di Enti, Istituzioni, Associazioni, Magazine per raccogliere, selezionare e pubblicare i lavori più interessanti. 

Produzioni a distanza.
Questa pratica utilizza le riprese on line delle videocamere di sorveglianza, quelle di google streetview, o  screenshot da web e tv per raggiungere i luoghi esterni ed interni più disparati e distanti. Questa modalità operativa ha avuto e avrà in questi giorni e nelle prossime settimane un clamoroso rilancio dettato dalla condizione di cattività in cui quasi tutti i fotografi (compresi i fotoreporter privi di un assignment) si trovano costretti ad operare. Di rilancio si tratta, è bene chiarirlo, e non certamente di una novità, in quanto tale pratica postfotografica (di puro prelievo o con operazioni di  cosmesi analogica o digitale del materiale prelevato) ha una storia, sia in ambito artistico che fotogiornalistico, di almeno un decennio. 

Da parte mia prevedo già, per le prossime settimane, un dialogo e un interessante confronto fra i tre schieramenti, sopratutto fra i fotografi sul campo e quelli a distanza, anche se penso con meno verve polemica rispetto al passato, e forse anche un certo poco giustificato e mal celato risentimento degli esponenti della cosiddetta "fotografia artistica" per l'utilizzo in ambito fotogiornalistico, o di racconto social di linguaggi (anche postfotografici) maturati nell'ambito della ricerca contemporanea (fenomeno normalissimo e ampiamente studiato e storicizzato). Per quanto mi riguarda penso e credo che ci siano possibilità interessanti di analisi e di lettura in tutte e tre le pratiche che ho cercato di sintetizzare. Ma incoraggio i fotografi a cercare soluzioni coraggiose nelle scelta dei temi e radicali in quella dei linguaggi, soluzioni che la stessa condizione di emergenza ci stimola a sperimentare.

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