giovedì 4 febbraio 2021

Collocazione spettatoriale per un evocativo spazio di deprivazione sensoriale

sandrobini > visual context / febbraio 2021

Alla fin fine si tratta, di volta in volta e non solo come fotografi, di scegliere cosa includere e cosa escludere nel nostro paesaggio. Di decidere se lavorare per l'incanto o il disincanto, o magari scegliere una terza via: quella dell’incanto del disincanto o del reincantamento. Ne riparleremo.

Impossibile rimanere appesi alla nostra incertezza, bisogna decidere, perché il taglio fotografico nello spaziotempo (anche se causale) è spietato e irreversibile. E non ci mostra niente, se non per indizi, di quello che capita oltre i margini dell’inquadratura. Il fuoricampo è una nostra fantastica invenzione mentale che certamente  può essere abilmente innescata, sollecitata, ma non possiamo uscire dalla scena che osserviamo, se non in quella presente della nostra collocazione spettatoriale (disincanto). Possiamo entrare e uscire, ma non si può andare avanti o tornare indietro nel tempo come guardando un film su Netflix. E’ tutto presente lì, in quell’evocativo spazio di deprivazione sensoriale: nessun movimento, nessuna profondità, nessun rumore, nessuno odore, nessun suono, a volte nessun colore; mortificazioni tattili e cambiamenti di scala. E’ in questa assenza, mancanza e astrazione dal reale dell'hic et nunc fotografico che la vista parrebbe magicamente funzionare come unico innesco di tutti i sensi, di tutti i sentimenti e di tutti i ragionamenti. Ma è poi davvero proprio così?

Beh direi di no perché non c’è solo lo sguardo,  il tempo e lo spazio esperenziale del fotografo arbitrariamente fissato nella e dalla tecnologia dell’immagine, ci sono anche quelli relativi e di volta in volta determinati dell'osservazione della picture. Quando, dove e come guardiamo una fotografia? Chi siamo e quanti siamo? Come stiamo? Che luce c’è? Ci sono rumori, odori, suoni, riflessi? Per quanto tempo la osserviamo e per quale motivo e con quali aspirazioni e aspettative? A quali esperienze, fatti, luoghi, memorie e a quali letture, ascolti e visioni, ci ricollega mentalmente la sua osservazione?  Insomma siamo o non siamo noi che "animiamo" le immagini nel loro contesto di apparizione dal nostro posizionamento e dalla nostra prospettiva? Beh direi proprio di si, direi che siamo noi a doverle reincantareRiconoscendogli razionalmente e non solo emotivamente, la loro soggettività e autonomia e la loro influenza ed efficacia.