Ikonemi / Bab / A place to live / Sifest 2018 |
Da ormai qualche lustro frequentando festival e gallerie fotografiche è inevitabile ritrovarsi di fronte a nuove forme di presentazione e installazione delle fotografie, rese più facilmente praticabili dalle nuove tecnologie di stampa digitale (grandi formati, stampa su quasi ogni tipo di supporto ecc.), e dall'ingresso della fotografia a pieno titolo come uno dei linguaggi privilegiati dell'arte contemporanea (contaminazioni della fotografia con pittura, scultura, video, intallazioni ecc). Su tutte ultimamente fa tendenza quella che per comodità di sintesi ho denominato sovrapposizionismo, ricollegandomi in maniera un po' ironica ai grandi "ismi" del contemporaneo.
In pratica si tratta di un tipo di allestimento (generalmente a parete) delle fotografie in cui alcune immagini (generalmente più piccole) si sovrappongono totalmente o parzialmente a delle fotografie più grandi che fungono da background. Le varianti posso essere molte: con le immagini background con o senza cornice e/o incollate direttamente alla parete (wallpaper) e immagini sovrapposte spesso incorniciate o con montaggi in rilievo e così via.
Al di là della moda, abbastanza diffusa negli ultimi tempi soprattutto fra i giovani fotografi e curatori, è interessante interrogarsi su quelle che possono essere le motivazioni (non solo tecniche, ma anche filosofiche, operative e concettuali) che hanno fatto nascere e sviluppare questo tipo di soluzione espositiva, che nei casi più riusciti ed esteticamente funzionali contribuisce alla creazione di interessanti effetti visivi. La ricerca ovviamente è estesa a tutti i lettori di questo Blog che vorranno contribuire con i loro commenti.
Da parte mia ritengo che per porsi queste domande sia necessario innanzitutto considerare quali sono i settori di ricerca fotografica dove questa pratica è maggiormente riscontrabile. E in questo senso individuerei da un lato la fotografia sperimentale (identificando con questo termine generico un' ampia gamma di mezzi e procedure di riflessione sulla complessità del linguaggio fotografico contemporaneo e la sua ibridazione con altri media, in particolare la scultura e l'installazione), ma anche quella neo o post documentaria e, infine, quella fotografia intimista, diaristica, familiare, che caratterizza molte ricerche attuali.
Analizzando questi settori direi che il denominatore comune di questi lavori, che determinano o quanto meno influenzano la necessità di un ricorso a procedure espositive sovrapposizioniste, mi pare sia la complessità di un'indagine che utilizza e necessita di linguaggi differenziati, e quindi più livelli di lettura, nell'indagine dei temi per potersi al meglio esprimersi. Ovvero, spiegato altrimenti, il confluire nella progettualità autoriale di: 1) diversi livelli di lettura e di interpretazione (realistico/immaginario, oggettivo/evocativo), 2) di differenti generi (paesaggio/still life/ritratto) e stili fotografici (documentario, narrativo ecc), e infine 3) di materiali visivi di diversa origine e/o produzione (fotografie di archivio, immagini trovate, nuove produzioni / immagini analogiche e/o digitali, documenti, disegni, illustrazioni, mappe, video, ecc).
Personalmente ritengo, insomma, che solo la presenza di questa metodologia di ricerca possa giustificare il ricorso a una strutturazione espositiva stratificata, in cui i livelli estetico-interpretativi si sovrappongono, si ibridano e si contaminano, configurando, in modalità di installazione, la complessità del contributo visuale nella produzione del senso.