sandrobini > visual context / febbraio 2021 |
Alla fin fine si tratta, di volta in volta e non solo come fotografi, di scegliere cosa includere e cosa escludere nel nostro paesaggio. Di decidere se lavorare per l'incanto o il disincanto, o magari scegliere una terza via: quella dell’incanto del disincanto o del reincantamento. Ne riparleremo.
Impossibile rimanere appesi alla nostra incertezza, bisogna decidere, perché il taglio fotografico nello spaziotempo (anche se causale) è spietato e irreversibile. E non ci mostra niente, se non per indizi, di quello che capita oltre i margini dell’inquadratura. Il fuoricampo è una nostra fantastica invenzione mentale che certamente può essere abilmente innescata, sollecitata, ma non possiamo uscire dalla scena che osserviamo, se non in quella presente della nostra collocazione spettatoriale (disincanto). Possiamo entrare e uscire, ma non si può andare avanti o tornare indietro nel tempo come guardando un film su Netflix. E’ tutto presente lì, in quell’evocativo spazio di deprivazione sensoriale: nessun movimento, nessuna profondità, nessun rumore, nessuno odore, nessun suono, a volte nessun colore; mortificazioni tattili e cambiamenti di scala. E’ in questa assenza, mancanza e astrazione dal reale dell'hic et nunc fotografico che la vista parrebbe magicamente funzionare come unico innesco di tutti i sensi, di tutti i sentimenti e di tutti i ragionamenti. Ma è poi davvero proprio così?