sabato 1 settembre 2018

Vertical framing e nuove tecnologie visuali


© Gian Marco Sanna, Malagrotta (2017)

Non ho dati statistici alla mano (sarebbero oltremodo interessanti) solo esperienze e sensazioni da "addetto ai lavori" e qualche scambio di opinioni fra amici colleghi, ma mi sembra che l'inquadratura verticale stia prendendo il sopravvento, fra le nuove generazioni di fotografi, su quella orizzontale, divenendo una vera a propria tendenza. Le ragioni di questa predilezione possono essere molteplici e complesse e credo possa essere interessante cercare di indagarne almeno un paio, lasciando come sempre ai lettori e ai più esperti la possibilità di allargare e approfondire la ricerca.

La prima cosa che viene in mente ovviamente è la straordinaria diffusione degli smartphone dotati di video e fotocamera integrati,  oggetti tecnologici che ci accompagnano durante tutta la nostra giornata, che con la loro struttura e manualità prevalentemente verticale hanno sicuramente favorito e condizionato il massiccio rilancio di questa tipologia di inquadratura e di sguardo nella fotografia e  nel video (dove ci sono addirittura concorsi e festival dedicati). La seconda, ovviamente collegata alla prima, sono le Stories di Instagram e di Facebook  (fotografie o video pubblicati sui rispettivi social per solo 24 ore e con una durata di visualizzazione di 15 secondi) molto popolari, sopratutto fra i più giovani, in cui è preferibile utilizzare un framing verticale nei formati di acquisizione delle immagini (foto e/o video) per sfruttare al massimo la struttura predefinita che è per l'appunto verticale, e riempire in sostanza tutto lo spazio disponibile.

Se i media, come diceva Friedrich Kittler, sono la "situazione" in cui operiamo, il vertical framing incoraggiato dagli smartphone e dalle Storie di Instagram e Facebook si sta di fatto imponendo come struttura visiva  privilegiata del contemporaneo, fino a divenire un vero e proprio fenomeno di moda. Sarebbe allora interessante capire come questa verticalità  (del resto già ampiamente utilizzata, almeno in fotografia, anche prima dell'avvento degli smartphone) influisca sulla nostra percezione e quindi sulla nostra visione del mondo e quale tipo di influenze e conseguenze possa comportare.

Lasciando ai più esperti eventuali approfondimenti, da parte mia mi limiterò a ribadire e sottolineare una ovvia considerazione di ordine tecnico e geometrico: la verticalità dell'inquadratura  sposta, anzi ribalta, l'ampiezza dell'angolo di campo dell'obbiettivo da una prospettiva orizzontale ad una appunto verticale e in questa operazione l'orizzonte (fuori e dentro metafora) di fatto si riduce in ampiezza. Se, anche senza stare a scomodare la piscoanalisi e (ovviamente senza azzardare alcun giudizio di merito o gerarchia di valori) colleghiamo le rispettive simbologie (verticale e orizzontale) alla visione  biomediatica, diventa un gioco forse non troppo azzardato associare implicazioni cognitive, filosofiche, politiche, sociali alla struttura della cornice visiva che, in un determinato momento storico e ambiente, adottiamo e privilegiamo.

Un ringraziamento a Gian Marco Sanna per la gentile concessione di una sua foto dal suo libro Malagrotta (Urbanautica 2017) e a Simone D'Angelo per gli stimolanti scambi di idee sul tema.

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