martedì 12 giugno 2012

Schermografi: piccola riflessione su un mutamento antropologico in atto.


Ph Sandro Bini - Lo schermo dell'ombra (1995-1998)

Fra i mutamenti introdotti dalla vera o falsa che sia “rivoluzione digitale” la trasformazione del fotografo in “schermografo”: più che un esperto di schermi uno che ci sta parecchio davanti! Prima e soprattutto dopo lo scatto.  Qualcuno di noi, più avanti con gli anni, rimpiange forse il bel tempo in cui il fotografo una volta finito il rullo, si presentava in laboratorio e se ne tornava a casa o al proprio lavoro con la speranza dell’attesa. Oppure entrava speranzoso in una camera oscura per sviluppare e stampare il rullo.  Oggi l’incubazione è finita, la gestazione annullata, il parto avviene in diretta, in tempo reale, nel display della fotocamera. Non mi interessa di parlare dei pro e contro, o rivendicare il romanticismo dell’attesa rispetto alla velocità e alla funzionalità dell’immagine in diretta, quanto constatare il fatto, piuttosto evidente, che il tempo trascorso davanti allo schermo stia diventando per quasi tutti noi (fotografi compresi) maggiore di quello passato ad osservare direttamente il "reale" e stia trasformando tutti (non solo i fotografi) in “schermografi”. Quali effetti ha avuto è avrà in futuro questa mutazione antropologica nella pratica e nella visione fotografica? Rivedere le fotografie su schermo è la stessa cosa di vederle stampate su carta? E inquadrare in un display o in un mirino elettronico è la stessa cosa che vedere le immagini sul vetro smerigliato? Saremo ancora capaci fra mille anni di leggere le fotografie stampate su carta? E la realtà stessa (se ancora esiste) non si starà trasformando anch’essa in un grande schermo che ci avvolge e ci impedisce di vedere? Un po’ per dispetto l’immagine che introduce questo post è una scansione da una stampa analogica ai sali d’argento, che pare, nonostante tutto, stia tornando pure di moda, ma vi giuro che non è nostalgia!

4 commenti:

Unknown ha detto...

Perchè si vuol fare tutto in proprio, come un tempo c'era il laboratorio per il chimico, oggi ci si dovrebbe affidare agli sviluppatori raw addetti alla postproduzione, ma per qualche meccanismo mentale, ci si deve fare tutto in proprio con i tempi ed i costi conseguenti. Ed anche per questi (i costi)che solo qualche fotografo pluripagato che si può permettere di pagarsi il postproduttore.

Sandro Bini ha detto...

Grazie Alberto per lo spunto. Ma non mi riferivo solo alla postproduzione. C'è anche la scelta delle immagini (che ormai troppo spesso facciamo dal monitor) e la stessa ripresa. Per quest'ultima questione devo dare ragione Beregno Gardin (vedi la recente intervista rilasciata a Repubblica): oggi anche con una reflex digitale si scatta la foto e subito guardiamo il risultato nel monitor. La maggior parte di noi rischia di passare più tempo a guardare il monitor della fotocamera che a guardare quello che sta succedendo davanti... e a volte qualcosa di importante potrebbe sfuggirci. Vogliamo dare un consiglio? Almeno con le reflex spengiamolo questo benedetto monitor, almeno se non è professionalmente impellente una revisione immediata.

Anonimo ha detto...

Attualissimo in questi giorni, non trovi?


Anna

Unknown ha detto...

Inquadrare su un display elettronico è cosa molto diversa dal farlo con un mirino ottico. Il display fornisce un'immagine già elettronicamente filtrata ed elaborata da software, è come vedere un film e bloccare il frame che ci piace. Il nostro occhio non corre avanti a cercare l'immagine nel mondo reale, per poi ordinare al dispositivo di metterla in forma, ma la riceve passivamente da un dispositivo che l'ha già messa in forma. (Anche il mirino a traguardo e ancor più quello reflex ci mostrano un'immagine, ma è un'immagine diottrica, cioè riflessa, e non ricomposta: possiamo ancora buttare l'occhio oltre lo specchio, ma non possiamo farlo oltre i software di eleaborazione).