© Luca Moretti, My small world (2015)
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Secondo
i più importanti studi sulla fotografia contemporanea, tradotti anche in Italia
(Cotton, Campany, Bajac, Poivert, Gunthert) è ormai a partire degli anni '60 del Novecento
(ma direi anche da molto prima, forse dall'avvento a fine Ottocento degli
apparecchi portatili e delle pellicole in rullo), che in nome di una naturale
evoluzione democratica insita nel DNA tecnologico del mezzo (vedi Benjamin, McLuhan & C) che la pratica fotoamatoriale influenza in
modo determinante quella professionale e autoriale.
La
resistenza elitaria ai fenomeni di democrazia sociale e di rinnovamento tecnologico e di linguaggio portati dalla fotografia di massa (sopratutto con la recente
rivoluzione digitale e le pratiche web 2.0 della fotografia condivisa) è stato
un fenomeno comune che, dal Pittorialismo in poi, ha sempre avuto in se qualcosa
di tragicamente eroico e insieme di pateticamente romantico. Rinchiuso nelle torri d'avorio
della fotografia d'autore e d'arte qualcuno, per distinguersi aristocraticamente dalla massa, ha
da sempre rischiato di perdere il contatto con la realtà e finire
irrimediabilmente con lo sclerotizzare pratiche, visioni e opinioni, mentre i
fotografi e gli studiosi più illuminati e democratici, dopo un normale più o
meno breve periodo di "resistenza" rispetto alle novità e alle aperture, hanno
sempre cercato di comprendere, adattarsi e “piegare” a fini comunicativi,
culturali e artistici il cambiamento tecnologico e sociale in atto. Da sempre
se la sono cavata forse meglio i professionisti che devono fare i
conti con le reali e dure leggi del mercato e per i quali le capacità di
comprensione e di adattamento alle nuove tecnologie e alle nuove pratiche
diventano anche necessità economica di resistenza e di sussistenza.
Se i
fotografi (professionisti o autori) hanno quindi oggi un dovere e un ruolo
è quindi, sempre e prima di tutto, quello di studiare e di
comprendere l'evoluzione tecnologica e sociale dei meccanismi della visone,
della pubblicazione e condivisione fotografica nella società mediatica contemporanea,
ovvero cercare di capire le nuove funzioni e i nuovi ruoli sociali e culturali
delle immagini, dei loro produttori e degli strumenti atti a produrle,
diffonderle e condividerle. Il passo successivo necessario è poi a mio
parere (e qui entro in una sfera necessariamente personale e “militante”)
quello di elaborare un pensiero e una produzione fotografica che sebbene
"qualitativa" e interessante sia il più possibile democratica e divulgativa, ovvero
orientata e rivolta a tutti e non a pochi, capace di dialogare con le differenti
pratiche e funzioni del fotografico, sfuggire alla deriva autorefernziale degli
adetti ai lavori e di promuovere e far circolare immagini che siano in
grado di coinvolgere ed “informare” e perché no “educare” a vario titolo e
grado tutti gli interpreti e tutti i protagonisti del fenomeno (ovvero ormai
qualsiasi comune cittadino dotato di uno smartphone con fotocamera), insomma un
pensiero e una produzione in grado di incidere profondamente, ma in maniera
diffusa e trasversale, nella sfera della comunicazione e della informazione sociale e
culturale contemporanee.
Pensare
oggi di essere come professionisti, autori o anche fotoamatori-evoluti in
qualche modo i soli o gli unici a detenere il know how, il governo
o il controllo di cosa sia o non sia oggi “la Fotografia” (con la famosa e
orami ridicola effe maiuscola) sarebbe un errore di presunzione e di
prospettiva davvero fatale. Chiudersi in una autoreferenzialimso
corporativistico o di nicchia a difesa dei propri presunti privilegi
professionali e intellettuali è ormai davvero privo di ogni logica, senso e
aggiungerei anche di ogni realistica prospettiva economica e di mercato.
Nell’era dell’"immagine condivisa" (Gunthert) le funzioni sociali ed economiche della
fotografia si stanno trasformando ancora una volta in maniera democratica
(produzione, accessi, utilizzi, pubblicazioni, diffusioni, condivisioni), come fotografi (professionisti, autori o
fotoamatori-evoluti) studiosi, docenti di fotografia, da tutte le più comuni
pratiche di utilizzo e diffusione sociale del mezzo abbiamo poco da storcere il
naso, ma sopratutto da studiare, riflettere e imparare.
Un grazie a Luca Moretti per la gentile concessione della immagine pubblicata in questo articolo.