Se la fotografia è, come penso, strumento di relazione e conoscenza, credo che il Ritratto ne costituisca in un certo senso la sua essenza. Del resto una della sue prime applicazioni (anche commerciali) nella sua Storia è legata alla nascita (o meglio sarebbe dire alla trasformazione) degli Atelier fotografici di Ritratto. Con il ritratto al Dagherrotipo la borghesia (industriale e commerciale) degli anni ‘40 dell’800 può celebrarsi e autorappresentarsi, con quello al collodio degli anni ‘50-‘80, sempre dell’800, tutti o quasi possono avere il loro ritratto da esporre in cornice nel “salotto buono”. Col Novecento (le pellicole alla gelatina d’argento e gli apparecchi portatili) sempre più persone possono fotografare i loro cari e costruire i propri album di ricordi. Oggi, che con il digitale tutti sono fotografi e gli album sono spesso pubblicati sui Blog o nei Social Network, il ritratto fotografico continua ancora a celebrare e a rinsaldare coesione familiare e identità personale in un processo di continua democratizzazione della rappresentatività per immagine. Ma il ritratto fa ancora di più, sostituisce l’assente, celebra il defunto, stimola il desiderio di amore, gloria, eternità. Che si costruisca nella maschera della posa, o si improvvisi nel gesto dell’istantanea, è anche capace di giocare o trasformare la propria e l’altrui identità. Finzione e rivelazione: anche il Ritratto come la fotografia tutta, pare oscillare fra questi due poli. E se la psicologia gli appartiene (con le dinamiche di proiezione e interpretazione che nascono spontaneamente nella triangolazione fotografo-modello-fruitore) gli appartiene anche la sociologia, l’antropologia e perché no l’arte, soprattutto quella popolare degli artisti di strada (ah il misterioso fascino dei fotografi ambulanti!). Ecco perché i grandi ritrattisti come diceva Barthes sono grandi etnografi. Perché sono anche psicologi, sociologi, e “saltimbanchi”... Il fotografo ritrattista infatti si relaziona e si confronta non solo con una o più persone, ma con una società, una cultura visiva e un immaginario popolare e con tutti i modelli (pittorici e fotografici, filmici) che ha conosciuto e ha imparato ad utilizzare. Per questo oltre alla tecnica è importante la cultura visiva (la Storia della Fotografia, il Cinema, tutta l'Arte Visiva). Chi ha visto di più vede meglio! Almeno questo è quello che ho imparato dai Maestri e anche dalla mia esperienza di Docente con Deaphoto al Corso di Ritratto in Studio. Come diceva Bacon (grande pittore ritrattista) la tela all’inizio non è mai bianca. E anche la pellicola o il ccd a guardar bene potrebbero non esserlo. Buoni ritratti a tutti!
Il mio ritratto a commento di questo Articolo è tratto dalla Serie Photobox /Il coraggio di giocare con la propria identità. Un progetto fotografico a cura di Sandro Bini e Francesca Ronconi, realizzato dai Fotografi del Deaphoto Staff, nell'Ottobre 2009, nell'ambito del Progetto Artistico Private Flat #5.
4 commenti:
Buon Bini,
concordo con te su quanto pubblicato e mi permetto di rimarcare il pensiero circa la grande forza che il ritratto ha nel definire i momenti storici e sociali. Posa o non posa, finzione o realtà è indicatore sempre e comunque del tempo in cui è stato effettuato.
Ci pensavo proprio in questi giorni dopo avere visto la mostra di Francesca Woodman a Siena. Le sue foto sono tutti autoritratti e in quanto tali annullano la triangolazione fotografo/soggetto/osservatore. La Woodman vuole mantenere il controllo completo su quanto comunicare, su quanto di se' "mettere a nudo" (sia in senso metaforico che letterale) e per fare questo sceglie la via dell'autoritratto, in cui fotografo e soggetto coincidono.
E questo mi ha portato ad interrogarmi su un ulteriore aspetto del ritratto fotografico e cioe' su chi sia il vero autore del ritratto tra il fotografo e il soggetto. Delle volte prevale la personalita' del fotografo, ma altre volte il soggetto sicuramente si impone con la propria personalita' ed immagine. Ma ci saranno anche delle fortunate circostanze in cui la foto ci mostrera' proprio la relazione psicologica e dialettica tra chi scatta e chi ci mette la faccia (e il corpo).
Rivelazione e finzione fanno parte degli stessi atti creativi, e credo che il ritratto faccia comparire qualcosa che senza il ritrarre non sarebbe esistito di per sè.
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