A dispetto di taluni a cui posso apparire il
solito “saputello” di fronte a un’immagine fotografica dopo un primo impatto
estetico ed emotivo che solitamente assorbo in silenzio (perché trovo ci sia
poco da dire ma tanto da sentire) si attiva subito nella mia testa quello che
voglio chiamare il “gioco delle fonti e dei rimandi” ovvero la ricerca delle
possibili matrici visive e culturali dell’immagine: una sorta di “fotografia
comparata” che cerca paragoni e parentele, filiazioni ed eredità. Per alcuni
questo gioco può apparire addirittura svilente come una sorta di negazione del
genio e dell’originalità autoriale, mentre a me appare un modo anche divertente
per cogliere “la differenza” nella comparazione, la novità nella continuità. Non
voglio solo ribadire Geoff Dyer e il suo fantastico discorso sul repertorio fotografico
fatto di autori, di temi e del loro
ritorno a distanza di spazio e di tempo, ma anche sottolineare come la
fotografia sia davvero relazione ed
esperienza, ma che questa relazione e che questa esperienza siano sempre
mediate da immagini che sono patrimonio visivo di chi li ha viste e conosciute.
Insomma l’esperito è solo uno degli ingredienti del fotografico la cultura dell’immagine
rimane per me sostanziale e altrettanto decisiva. Ammetto infine che l’esegesi
emotiva, psicologica e sentimentale delle e sulle immagini fotografiche non sia
il mio forte, faccio fatica ad esprimere quello che vedo e sento, ma credo che
questo gioco culturale che metto in atto e che mi permette di approssimarmi al
segreto di una immagine senza mai rivelarlo possa aiutare ad aprire orizzonti e
percorsi di senso anche in tale direzione.
Michelangelo Antonioni, Blow Up - 1966
19 ore fa
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