Sandro Bini, Senzatitolo / Firenze, Agosto 2019 |
Ebbene si la "svolta fringe" dell'arte analizzata dal compianto Mario Perniola in un prezioso libretto che ho recentemente letto L'arte espansa (2015) pare proprio interessare anche la fotografia. Di cosa si tratta? Sostanzialmente di una forte destabilizzazione ed espansione del suo sistema tradizionale con l'apertura di un nuovo ampio orizzonte estetico (in cui tutto, potenzialmente, tramite abili e intelligenti strategie di legittimazione e marketing può essere trasformato in arte) e dove diventa sempre più difficile orientarsi, complice la cosiddetta rivoluzione digitale collegata al fenomeno social network. Secondo Perniola, insomma, la singola produzione artistica oggi non basta più a se stessa, ma necessita di una serie di strategie narrative di "artistizzazione" in grado di legittimarla e di dargli autorevolezza.
Ecco sarebbe interessante, per prima cosa, provare a capire quali sono le forme di espansione e conseguentemente di artistizzazione in ambito fotografico, ovvero cosa di nuovo è entrato in campo e chi e come legittima e da autorevolezza ad una qualsiasi sua produzione (che abbia o meno in origine una qualche intenzionalità artistica pare secondario). E, in seconda istanza, capire se e in cosa si differenzino queste forme (di espansione e di artistizzazione) da quelle degli altri linguaggi dell'arte.
Ecco sarebbe interessante, per prima cosa, provare a capire quali sono le forme di espansione e conseguentemente di artistizzazione in ambito fotografico, ovvero cosa di nuovo è entrato in campo e chi e come legittima e da autorevolezza ad una qualsiasi sua produzione (che abbia o meno in origine una qualche intenzionalità artistica pare secondario). E, in seconda istanza, capire se e in cosa si differenzino queste forme (di espansione e di artistizzazione) da quelle degli altri linguaggi dell'arte.
Dal punto di vista dell'espansione estetica in fotografia (come del resto nell'arte in generale) sono entrate nel game artistico nuove aree di produzione: 1) archivi e raccolte pubbliche e private nate (è importante da precisare) senza nessuna intenzionalità artistica da parte di committenti e produttori (dagli album di famiglia, agli archivi di documentazione pubblica e privata di aziende, enti, fondazioni, di natura scientifica, sportiva, culturale ecc e di varia derivazione geografica) sia cartacei che on line 2) ritrovamenti anonimi o mitizzati (vedi il caso John Maloof -Vivian Maier) ovvero tutto il cosiddetto filone a la mode della found photography. 3) infine, il filone della fake photography ovvero la ricostruzione e organizzazione (dichiaratamente messa in scena) di finto materiale documentario a fini ironico-critici-parodistici (vedi Fontcuberta e seguaci). Tutto ciò riconduce certamente all'ormai già teorizzato e storicizzato ambito del post fotografico (vedi La furia delle immagini del già citato Joan Fontcuberta), con partiche citazioniste e/o appropriazioniste, o di finzione documentaria, che necessitano e hanno necessitato di nuove strategie di narrazione e divulgazione, e di nuove forme e canali di legittimazione artistica, diversi da quelli più tradizionali.
Il caso Instagram, in ambito fotografico, è sicuramente il più interessante e originale di questo processo di disintermediazione. Se sei un fotografo e hai un elevato numero di follower e di like puoi pensare senz'altro di bypassare le figure e i canali di mediazione tradizionali e rivolgerti direttamente alla produzione, al pubblico e al mercato (che sia quello commerciale o artistico cambia poco), anche tramite le piattaforme di crowdfunding. O, in ogni caso, tu e il tuo lavoro diventate interessanti e appetibili per varie tipologie di intermediari (curatori, critici, editori, agenzie ecc) perché "avete i numeri". Del resto in ambito musicale fenomeni simili sono già moltissimi ed eclatanti, ma anche in quello fotografico registriamo già numerosissimi casi. Che poi ai numeri corrisponda la qualità è cosa sempre soggettiva e da verificare. Ed qui, almeno per ora, che gli "esperti" usciti dalla porta, rientrano dalla finestra, per fare da setaccio. Ma ancora fino a quando?
Sarebbe poi utile, in terza istanza, analizzare e mettere a confronto le strategie di artistizzazione e legittimazione "dall'alto" con quelle "dal basso", ovvero stabilire le differenze e punti di contatto. Chi e come legittima oggi come interessante una produzione fotografica e un fotografo? Le elite degli esperti o il numero dei follower e dei like? Ovviamente la casistica è infinita, ma mi pare che ci si stia orientando verso un interessante mix "sanremese" delle due cose (giuria e voto popolare / a bilanciamento variabile). Tanto che gli esperti professionisti (così come i fotografi emergenti più ambiziosi) sono stati più o meno "costretti" a "socializzarsi" (ovvero ad aprire un profilo Intagram, Facebook ecc ) sia per avere visibilità ed essere ri-conosciuti, che per fare scouting & phishing, entrando di fatto in una logica auto-promozionale molto simile a quella dei fotografi.
Che il processo di artistizzazione delle produzioni parta quindi da uno studiato storytelling dell'artista (ma anche del critico, dell'editor e del curatore), anche in fotografia pare ormai cosa inevitabile: dal racconto del work in progress, alle strategie di promozione del lavoro finale, fino al racconto romanzato (se non mitizzato) degli aspetti della vita privata e professionale di entrambe. Certo anche in questo ambito ormai sono nati gli esperti di strumenti (app & devices) e strategie di marketing (storytelling & selfbranding) e forse oggi quella della narrazione di se (e/o di ciò che si vuol far diventare famoso) sta diventando la vera arte al tempo dei social. Contano come sempre idee nuove, lavoro, determinazione, budget e soprattutto i numeri. Il talento e la qualità del lavoro le diamo per scontate, confidando romanticamente che non siano ancora solo un accessorio per abili venditori di fumo.
Che il processo di artistizzazione delle produzioni parta quindi da uno studiato storytelling dell'artista (ma anche del critico, dell'editor e del curatore), anche in fotografia pare ormai cosa inevitabile: dal racconto del work in progress, alle strategie di promozione del lavoro finale, fino al racconto romanzato (se non mitizzato) degli aspetti della vita privata e professionale di entrambe. Certo anche in questo ambito ormai sono nati gli esperti di strumenti (app & devices) e strategie di marketing (storytelling & selfbranding) e forse oggi quella della narrazione di se (e/o di ciò che si vuol far diventare famoso) sta diventando la vera arte al tempo dei social. Contano come sempre idee nuove, lavoro, determinazione, budget e soprattutto i numeri. Il talento e la qualità del lavoro le diamo per scontate, confidando romanticamente che non siano ancora solo un accessorio per abili venditori di fumo.
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