giovedì 7 gennaio 2016

Tennis e fotografia: un paragone d'azzardo

Michelangelo Antonioni, Blow up (1966)

Prologo.
Sabato 12 Settembre 2015 finale US Open Pennetta-Vinci, gli italiani, che con l'avvento e la diffusione delle fotocamere sui cellulari sono ormai un popolo di fotografi, si scoprono anche un popolo di tennisti.

Svolgimento. 
Chi mi conosce un po' meglio sa che rimugino da tempo su di una ipotetica qualche relazione fra tennis e fotografia, si trattava fino ad oggi di una intuizione vaga, non troppo razionalizzata, mi sosteneva in questo azzardo concettuale il finale di un celebre film di Michelangelo Antonioni del 1966 caro ai fotografi "Blow up" in cui il protagonista fashion photographer coinvolto suo malgarado in un possibile delitto abbandona definitivamente le vellità da detective da "prova fotografica" osservando una partita di tennis mimata da alcuni artisti di strada in un parco, tanto da raccogliere una inesistente pallina da tennis e restituirla in campo ai fanstastici giocatori-mimi. Il tennis, la fotografia, la realtà sono solo un gioco? E quali sono le regole? Mi sosteneva in questa balzana idea anche il suocero di un amico che con convinzione sosteneva che due erano le cose che non sopportava nella vita: il tennis e la fotografia! Il suocero-teorico, confesso, che mi aveva piuttosto colpito e inquietato per la fatale analogia tutta in negativo... Il tennis gioco aristocratico e crudele in cui non ogni palla ha lo stesso peso e valore e in cui fino all'ultimo tutto rimane in gioco in cosa assomiglia alla fotografia? Proviamoci: come la fotografia il tennis è un gioco individuale e un po snob, ma non si fa da soli, c'è sempre una controparte, il risultato della partita non dipende solo da noi. Il tennis come la fotografià è un gioco a esclusione: io vinco tu perdi, palla dentro palla fuori, foto dentro foto fuori.  In fotografia come nel tennis non tutti gli scatti hanno la stessa importanza, qualcuno pesa e vale di più, altri molto di meno. Nel tennis come in fotografia il match è sempre aperto, la rimonta sempre possibile, può essere un gioco strepitoso e spettacolare, quanto noioso e avvilente. Nel tennis come in una inquadratura fotografica avviene tutto all'interno di un rettagolo, il resto non conta o meglio non si vede. Ma c'è di più c'è il tabellone! Il tabellone? Si i tabelloni degli incontri sedicesimi, ottavi, quarti, semifinali, teste di serie... Ecco il tabellone a me ricorda il tavolo dell'editing nella sua ferrea logica del dentro o fuori, del testa a testa fra due foto simili e/o altrettanto funzionali, dell'ultima foto inserita nella sequenza che come l'ultima palla può cambiare l'esito di tutta la storia. Ai più sembrerà strano ma per me il tabellone del tennis è il modello didattico e strutturale di quando scelgo le foto e le metto in fila. Tutto qui? O c'è di più? Si c'è di più c'è lo strumento (la racchetta e la fotocamera). Lo strumento che proviamo a cambiare inutlimente quando stiamo perdendo o giochiamo male. E c'è il movimento: quello del giocatore/fotografo nello spazio, il "time" sul click e sulla palla (c'è o non c'è, oggi ce l''hai domani no) il coraggio, la fantasia, la pazienza, la resistenza. C'è la psicologia: sfruttare i momenti buoni, resistere a quelli difficili. "Calma e gesso" consigliava il grande fotoreporter Mario Dondero,  a tutti i fotografi.  Lui si riferiva a un altro sport di precisione fotografica "il biliardo". E allora noi forse non potremmo paragonare il gesso del biliardo alla segatura con cui i tennisti si asciugano la mano sudata per consentirgli un maggior "grip" nell'impugnare la loro arma di rimando? Già fotocamera e racchetta come "strumenti di rimando" un'altra azzardata analogia. Ma attenzione arriva ancora una palla dobbiamo essere attenti e pronti per colpirla con forza o destrezza con la racchetta per mandarla oltre la rete, possibilmente in campo. "Game, partita, incontro", si proprio come quando vediamo un'immagine e dobbiamo rimandarla al di là della "rete" nel rettangolo magico di una fotografia. 

Epilogo.
Anche Thomas il  fotografo protagonista di Blow Up nel 1966 si sente in dovere di restituire una palla immaginaria uscita dal campo, ma  per lui l'oggetto ormai è solo virtuale e lo strumento che usa per "restituirla" è solo il suo corpo. Chiaroveggenza antononiana?

1 commento:

TrecceNere ha detto...

Direi anche che in un match ogni palla è importante come un fotogramma di Una PELLICOLA, che non va sprecata.il digitale ha un po cambiato il tutto...Somiglia più allo sparapalline che serve per allenarsi. Non c è l'indole della competizione e del risparmio, ci si permette molti scatti a vuoto...e si cresce diversamente. Bella riflessione