martedì 15 gennaio 2013

Analogic born e Digital native: quale differenza?

ph Sandro Bini - Love frames - Parigi 2001
Se il dibattito non solo teorico sulla fotografia ruota ormai da quasi un decennio sulla vera o falsa che sia rivoluzione digitale, che ha portato in ogni caso notevoli conseguenze su comportamenti fotografici e pratiche sociali, questa volta voglio interrogarmi e interrogare i miei lettori per cercare di capire quale sia la differenza (profonda e non solo di superficie) fra un Analogic born e un Digital native: ovvero fra chi come me è nato fotograficamente in era analogica e ha patito più o meno il passaggio al digitale e chi come molti giovani nati negli anni Novanta è cresciuto fotograficamente in era digitale e non ha conosciuto se non marginalmente rullini, laboratori, sviluppi e stampe dove guardare le fotografie scattate per la prima volta. Che differenza c’è insomma fra un madrelingua digitale e un digitale acquisito? Chi meglio se la cava con pixel menu e software e chi comprende meglio la natura del fotografico? E se un Digital native ritorna all’analogico? Come se la cava? Questo ritorno ha un influenza sulla sua visione e la sua pratica anche quando fotografa in digitale? Ci sono in rete gruppi di analogici integralisti e digitali convinti, e tutti con ottime motivazioni (etiche, estetiche ed economiche) a difesa della loro scelta. A me piace collocarmi e difendere invece una posizione intermedia, diciamo crossover, che utilizza e pratica, a seconda dei casi e senza particolare enfasi o sgomento, le due tecnologie per adesso ancora disponibili sul mercato. Mi viene in mente subito, come spesso mi capita, il paragone con il panorama musicale, dove la rivoluzione digitale è avvenuta con qualche decennio d’anticipo, ma dove esistono tuttoggi strumenti analogici e strumenti digitali e musicisti che preferiscono gli uni o gli altri o che invece sperimentano contaminando le tipologie dei suoni. Ma tornando alla domanda principale (Quale la differenza fra un Analogic born e un Digital native?), a parte aimè l’età, credo che stia sopratutto nella faticosa resistenza di atteggiamento forse più attento e responsabilizzato verso lo scatto e ad  un piacere della dilazione e della “latenza” dell'immagine più allenata perché più o meno a lungo coltivata: un approccio maggiormente “desiderante” che non si accontenta ancora del riconoscimento immediato (I like) ma ne ricerca forse, ancora non si sa per quanto, uno più duraturo nel tempo (I love).

6 commenti:

giasca53 ha detto...

Non starei a fasciarmi tanto la testa. Consideriamo piuttosto che ogni società produce le tecnologie che gli necessitano per rispondere ai propri bisogni.
La storia delle matrici non è estranea a questo processo ma anzi spesso lo scandisce significativamente con la peculiarità che l'ultima fa esattamente meglio tutto e di più rispetto a quello che fanno quelle che la precedono. Alla fotografia sono legati bei ricordi come lo sono quelli della xilografia e tutti quelli che insieme fanno la storia delle matrici. Prima o poi ci sarà motivo di averne anche per la matrice numerica.
Così rispondeva con una mail un fotografo a un grande filosofo e storico della fotografia che gli chiedeva se lavorava in digitale:"No! Prof. Gilardi non mi sento ancora di cambiare sistema; mi interessa ancora la magia chimica che cattura la realtà in un modo tutto suo. Lo farà anche il digitale, ma sicuramente va cambiato l'approccio e la testa.....". Il grande Maestro gli rispose che raramente gli era capitato di leggere tante sciocchezze in così poco spazio e gli fece questo esempio:" Siamo nel 1839 a Parigi, Daguerre ha sentito da me che un certo Talbot fa fotografie su carta negativo positivo eccetera. Dice: no prof. Gilardi, non mi sento ancora di cambiare sistema, mi interessa ancora la fotografia su lastrina di rame argentato che cattura la realtà in modo tutto suo.......eccetera."

Sandro Bini ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Sandro Bini ha detto...

Caro Giasca 53 ti rignrazio per il commento. Ti assicuro che almeno il sottoscritto non si fascia la testa e mai se l'è fasciata ed è poco incline a nostalgie tecnologiche. Comunque il mio interrogativo era un'altro, ma sicuramente non sono stato chiaro. La riassumo in modo spero più semplice: c'è una differenza di atteggiamento e di approccio per chi ha iniziato a fotografare in pellicola rispetto a chi ha inziato con il digitale? Mi piacerebbe un parere giusto su questo....

giasca53 ha detto...

Carissimo Sandro, credevo d'aver implicitamente espresso -per quanto conti poco- la mia opinione ma evidentemente ho dato per scontate troppe cose perché venisse compresa. Cercherò perciò di essere più chiaro. Inizierei con una constatazione. Diversamente dalle matrici precedenti, in cui le immagini venivano fatte a mano, quelle fotografiche e numeriche sono prese entrambe in automatico con una macchina che le fa. Questa è una condizione che risulta uguale quando si trata di immagini istantanee. Lo stesso apparecchio per prenderle è praticamente identico. È una camera obscura al cui interno però è stata sostituita la pellicola con un sensore. Per il resto, se non ci fossero tra le scatole sofisticatissimi software, utili solo a complicre la vita, nessuno si accorgerebbe della diferenza. Prima la Kodak ti diceva di fare clik che al resto pensava lei. Ora il .jpg corrisponde perfettamente a questa filosofia. Prima scattavi e dovevi aspettare lo sviluppo del rullino oggi puoi vedere immediatamente se la tua immagine risulta qualitativamente vendibile o meno. Alcuni sostengono che prima, con la fotografia, si prestava più attenzione all'impostazione della macchina mentre oggi lo si fa meno. Non dice però che prima si facevano almeno tre scatti -scatto a forbice- e almeno due venivano buttati con uno spiacevole e costoso scarto di materiale. Oggi ci si può concedere lo stesso "lusso" senza spreco di nulla. Ben inteso che stiamo sempre considerando le immagini istantanee. Comunque, istantanee o meno, la diversità reale consiste nel flusso di lavoro successivo alla presa. Questo rende evidente, a mio modo d'intendere, la diversità d'approccio all'immagine. Attenzione, questo però riguarda ogni immagine indifferentemente dalla matrice che l'ha prodotta. Per quanto riguarda la tecnologia digitale la post produzione consente la ridefinizione in file di ogni immagine dalla xilografica alla fotografica e a questo punto l'identico canale di diffusione alle diverse periferiche. Questo implica un formidabile avanzamento della sintassi nella produzione di immagini e io credo che questo faccia la vera differenza che ovviamente implica un diverso approccio e atteggiamento. Purtroppo oggi la matrice numerica viene spesso confusa con quella analogica e a suo discapito la si tiene a soffrire i limiti dell'ultima. Proviamo a porci la domanda in modo ancora più semplice: c'è una differenza di atteggiamento e di approccio per chi ha iniziato a produrre immagini con la matrice xilografica e chi ha inziato con il digitale? Forse la risposta viene più facile.

Sandro Bini ha detto...

Sono stato autorizzato a postare questo commento di MICHELE SMARGIASSI visto che per qualche bega tecnica sembra con sia possibile farlo trmite tablet....

Be', caro Sandro, io ho tentato un esperimento pratico antropologico-fotografico per rispondere alla tua seconda domanda, cosa succede se un nativo digitsle torna a emigrare nel mondo analogico? Ho messo in mano la mia vecchia Eos50 a pellicola a mio figlio auindicenne cattatore smartphonico. L'effetto è stato curioso, molto interessante. Le conclusioni ti danno ragione: si ritorna, inevitabilmente, al digitale, me con la consapevolezza che il processo fotografico è fatto di decsisioni, pause, attese, frammenti, delusioni nin rimediabili, che insomma la fotografia è un oggetto visuale complesso da produrre singolarmente, e non un estomperduto di un flusso inarrestabile. Il "report" completo dell'esperimento, se a qualcuno interessa, l'ho stilato qui: http://smargiassi-michele.blogautore.repubblica.it/2013/02/04/se-il-nativo-digitale-emigra/

Sandro Bini ha detto...
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