domenica 3 ottobre 2010

Il "rumore del reale": il fotorealismo nell'epoca del digitale

                    
Sandro Bini, Vipernight (2008)
Non occorrerebbe più scomodare Walker Evans e il suo “stile documentario” per ribadire che il “realismo” in fotografia non è che una convenzione: una questione di stile e di linguaggio. Più interessante sarebbe indagare come si è evoluto il concetto di realismo in fotografia e cosa sia oggi il fotorealismo. Limitandosi al '900 negli anni 30 alcuni fotografi americani  ed europei (fra cui Walker Evans, August Sander) definirono realistico un linguaggio diretto, oggettivo, formale e austero (frontalità, centralità del soggetto, posa, impeccabile resa tecnica e formale) che desse piena "trasparenza" e "oggettività" ai propri soggetti; uno stile, voluto e ricercato, da contrapporre alle estetiche pittorialiste e moderniste allora in auge. A partire dalla seconda metà degli anni 50 e poi a seguire nei due decenni successivi i nuovi street photographer, soprattutto americani (Frank, Winogrand, Friedlander), portarono il fotorealismo nell’ambito della performance fenemenologica  e della istintività del gesto, del comportamento e del linguaggio, indirizzandolo nell’ambito del soggettivamente esperibile e del formalmente destrutturato. Ma oggi in epoca digitale cos’è il fotorealismo? Limitandosi volutamente ed esclusivamente alla “superficie dell’immagine”, senza indagarne i contenuti, cosa appare formalmente più fotorealistica oggi? Un’immagine tecnicamente impeccabile, nitida e patinata o una mossa, leggermente sfuocata, magari desaturata e piena di “rumore”? Insomma se in fotografia anche il realismo è una convenzione, cosa più ci comunica oggi il “rumore del reale”? Le immagini low-fi dei sistemi di videosorveglianza, dei cellulari e delle webcam, o quelle patinate e supernitide, non solo di tanta fotografia di moda e pubblicità, ma anche di reportage?  Mi scuso, anticipando probabili critiche, per la sintesi un po’ semplicistica e la parzialità con cui affranto un argomento così vasto e concettualmente problematico, ma la soglia di attenzione sulle pagine dei Blog come si sa è davvero molto bassa, e ciò che mi propongo davvero in queste pagine è soprattutto buttare sassolini nello stagno: stimolare la discussione e la riflessone e perchè no la critica, in modo da approfondire i temi e moltiplicare le prospettive di analisi, attraverso i vostri apprezzati commenti e contributi.

7 commenti:

Unknown ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Unknown ha detto...

Salve Sandro,
nel mondo della fotografia e delle immagini più in generale, ognuno cerca di contribuire secondo le sue conoscenze,sia tecniche che culturali,in maniera più o meno cosciente.
Dalla foto scattata in famiglia, durante il compleanno della nonna, alle avanguardie dei fotomontaggi artistici passando fra i più realistici dei reportage, tutto è necessario per un quadro comprensivo di quello che è il nostro tempo. Poi ognuno può apprezzare o meno i vari “modi” di raccontare, ma non credo ne esista uno “assoluto”, capace di esprimere tutti gli aspetti.

Saluti!
Cosimo

Sandro Bini ha detto...

Caro Alfredo, grazie prima di tutto del tuo commento. Concordo perfettamente con quanto scrivi. Non è mia intenzione ne qui ne altrove elaborare concetti assoluti, ma semplicemente stimolare il confronto e la riflessione, buttare sassolini nello stagno e aspettare onde di ritorno le più eterogenee possibili. E lungi da me pernsare che esista un tipo di fotografia migliore delle altre.... Riformulo allora meglio la mia domanda: esiste ancora e che cosa può essere oggi il fotorealismo?

Unknown ha detto...

Bella domanda... Probabilmente non ho le competenze per addentrarmi in certi argomenti, ma se il realismo, fotografico e non, dovesse essere quello che ogni giorno passa davanti ad i nostri occhi, sopratutto dove più richiesto, allora ti direi che non esiste più. I passaggi dalla "materia prima" al prodotto finale possono manipolare radicalmente quello che era il concetto da esprimere.
Sta all'individuo, tramite le sue capacità, riportare l'immagine alla realtà: questa, secondo me, è l'unica forma di "fotorealismo" rimastaci. I mezzi oggi sono tanti e rendono il compito difficile.

Anonimo ha detto...

Ciao Sandro, allora da fb lo posto qui. A presto, Sabrina

Credo che superare Walker Evans sia non solo necessario ma inevitabile, è morto nel 1975 e lui stesso, fosse sopravvissuto a se stesso, si sarebbe superato. Anzi non è più questione di superare ma dal suggerimento che l’etimologia di “autore” ci consente di fare, si tratta piuttosto di “aggiungere a” WA e mi pare che a lato e dopo le sue fotografie ci sia stato un eccellente lavoro nel solco. [C’è un libro, quasi esclusivamente di fotografie, che descrive bene l’ipotetico percorso, cosa è da intendersi per eredità]. Si tratta di un solco sempre più ampio che include cose differenti, lavori molto personali e lavori politici, nell’ambito dell’arte, non del fotogiornalismo sociale patinato (apprezzo il sociale). Non sono in “stile documentario” le fotografie che non sanno essere fotogiornalismo e non sono arte, molte fotografie che mi capita di vedere sono descrittive, usano un linguaggio che definirei “lirismo pop”, piccoli eventi straordinari che ci stupiscono e ci fanno dire “toh guarda un po’ lì cosa è successo? Si diffonde il piacere del grottesco, qualcosa che appartiene alla nostra provenienza culturale, ricorda l’Alberto Sordi della fotografia, chè la serietà, dopo troppi anni di Italia Uno, è nota per essere la peggiore delle condanne, ci costringe a guardare implacabili la nostra vigliacca inconsapevolezza. E io apprezzo e stimo sempre più Paul Graham da queste latitudini.
Scrivi: “Ma oggi in epoca digitale cos’è il fotorealismo? Limitandosi volutamente ed esclusivamente alla “superficie dell’immagine”, senza indagarne i contenuti, cosa appare formalmente più fotorealistica oggi? Un’immagine tecnicamente impeccabile, nitida e patinata o una mossa, leggermente sfuocata, magari desaturata e piena di “rumore”? Insomma se in fotografia anche il realismo è una convenzione, cosa più ci comunica oggi il “rumore del reale”? Le immagini low-fi dei sistemi di videosorveglianza, dei cellulari e delle webcam, o quelle patinate e supernitide, non solo di tanta fotografia di moda e pubblicità, ma anche di reportage? ”
Qui la soglia di possibile fraintendimento è troppo ampia: oggi in epoca digitale cos’è il fotorealismo? Se ti riferisci a Walker Evans, credo si sarebbe scocciato di essere definito fotorealista. Ma superando la premessa che partiva da WA, ti dico cosa scoccia me sulla questione del fotorealismo, e quanto (tanto-tutto) invece mi interessa dell’autenticità. Mi spiego meglio con un esempio, lo strumento è uno strumento, un mezzo appunto, digitale o analogico che sia, appartiene al linguaggio, l’autenticità, invece, è struttura invalicabile (per me):
è più vera una foto di moda di Juergen Teller, ben fatta e contestuale agli anni che stiamo vivendo o una fotografia di “arte”, tipo un vestitino di tulle "poetico"e parole (quasi sempre scadenti poesiole), romanticismo indotto ad esibizione dell’anima, tutta fuori, e nessun mistero “reale” a inquietarci/disturbarci per davvero? Oppure, per dirti meglio cosa mi interessa della realtà: vent’anni fa (soprattutto quando vivevo in Francia) uno dei primi autori che guardai molto e amai moltissimo era Duane Michals, costruiva storie, inventate da lui, suggerite dai suoi sogni, incubi, sono certa che ricordi, la bambina e l’impermeabile, ecco la mia risposta a “ma oggi in epoca digitale cos’è il fotorealismo?”: sempre, la realtà di una bambina, lasciata sola, seduta in una sala d’attesa e l’uomo che non esiste, se non nell’incubo - ad occhi aperti - di un impermeabile sull’appendiabiti. Quell’uomo, che non esiste, emerge dalle profondità dell’impermeabile, la bambina si avvicina, l’impermeabile si richiude su di lei, l’uomo che non esiste se la porta via per davvero. Non ho bisogno di fotografie carine, digitali o analogiche che nella finzione della bellezza mi facciano ammirare solo “le belle fotografie”, io sono quella bambina e ho visto l’uomo nero.

Sandro Bini ha detto...

Ti ringrazio dell' approfondita e interessante replica. Direi che hai colto perfettamente l'onda del mio sassolino nello stagno e lo spirito del blog in cui nessuno tanto meno io dovrebbe avere verità da elargire, ma solo pensieri da confrontare. Il mio era un discorso che si è voluto provocatoriamente fermare sulla "pelle dell'immagine" e tu giustamente sei scesa in profondità con una proposta di spostamento della questione che ritengo oltremodo interessante: non cos'è fotorealistco ma cos'è fotoautentico oggi. E ovviamente la questione, che è di sensibilità, atteggiamento e cultura e molto più complessa. In effetti si puo essere fotorealisti senza essere autentici e viceversa. Grazie davvero del tuo contributo!

giureds ha detto...

Il buon segno del "rumoroso" mi ha fatto tornare a galla riflessioni che mi frullano nella testa da un po' di tempo. Non nego di essere un cultore dello scatto ben fatto, della nitidezza e della profondità di campo. Mi deriva dalla predilezione per la rappresentazione del paesaggio, rurale o urbano che sia.
Poi nell'economia di uno scatto o di un reportage grana grossa, sfocato, mosso possono essere congeniali per rappresentare l'attimo o la situazione in modo efficace e fanno parte a pieno titolo del bagaglio di una buona fotografia.
Ma l'adozione incondizionata del "low-fi", dello sfocato, dello sghembo per tutte le situazioni e rappresentazioni, che vedo in molti lavori di giovani fotografi e non, mi crea a volte molte perplessità. Mi sembra che per dire qualcosa di nuovo in fotografia, sia diventato indispensabile il "famolo strano" di verdoniana memoria.
Poi sono pienamente d'accordo sul fastidio creato dalla glaciale patinatura di certi reportage, foto di moda, calendari di noto fotografi che priva di qualsiasi forma di anima molto fotografia "mainstream", ma penso anche che tra le due visioni di fotografia esista anche una possibilità di equilibrio e buon utilizzo dei mezzi tecnici ed espressivi a nostra disposizione che ci permetta di esprimere al meglio ciò che abbiamo da raccontare.