domenica 21 giugno 2009

Darwinismo fotografico: eclettismo stilistico e percorsi obbligati

Nell’evoluzione stilistica di molti fotografi contemporanei che si interessano del territorio e del sociale noto una significativa costante che voglio chiamare dal nome di un suo illustre esponente “costante Meyerowitz”. Si parte “leggeri” equipaggiati di Reflex o Leica e si finisce dietro al panno nero del banco ottico. Del resto in altri settori fotografici di ricerca e fashion il passaggio obbligato pare essere quello dalla fotografia al video. Ma su questo tema, altrettanto interessante, indagheremo magari un’altra volta. Restando al tema in oggetto in questo intervento, mi sono spesso interrogato e ho chiesto ai colleghi i motivi di questo fatale passaggio. Alcuni mi hanno risposto in maniera ironica ma sincera che forse si tratta solo di motivi di età (“effetto età”), non si hanno più le motivazioni e le energie per rincorrere da vicino i propri soggetti, meglio osservarli da lontano, e da una fotografia d’azione dietro il piccolo mirino di una handcamera e ci si ritira dietro il grande vetro smerigliato del banco ottico sposando una visione contemplativa forse più congeniale ad una età più matura e saggia. Questa motivazione ovviamente può essere più che valida e rispettabile, ma c’è un tarlo che mi rode e che mi induce scavare. Qualcuno potrebbe parlare di “moda”, io preferisco chiamarlo “effetto Gursky ”. Si sa infatti che un’altra costante dello sviluppo nella carriera di un fotografo di successo nel panorama fotografico contemporaneo sia quello di partire dalle Agenzie e dalla Riviste per approdare alle Gallerie d’Arte (percorso più che invidiabile e rispettabile) ma si sa che bene o male, almeno ad oggi, queste ultime prediligono per motivi di mercato, sull’esempio del grande fotografo tedesco (almeno per questo tipo di fotografia), la supernitidezza e il Grande Formato di stampa. Che sia questa un’altra motivazione del fatale passaggio? Ma voglio andare oltre e scavare ancora più a fondo. C’è, secondo il modesto parere di chi scrive, pure un'altra questione importante che chiamerò “effetto nostalgia delle origini”: ovvero la tendenza, nella carriera di molti fotografi, anche importanti, all’archeologia dello sguardo fotografico: al recupero della visione e se vogliamo della attrezzatura delle origini (anche se ormai infatti i banchi ottici di oggi sono ben equipaggiati da costosi dorsi digitali, il funzionamento fondamentale della view-camera è ancora infatti sostanzialmente quello di una volta). Insomma il motivo letterario del ritorno sembra valere anche per la Fotografia e per i fotografi. Questi sostanzialmente mi paiono insomma i tre motivi principali di questa sorta di passaggio stilistico obbligato: "effetto età","effetto Gursky", "effetto nostalgia delle origini". Ma è possibile sfuggire dalla costante evolutiva di questo darwinismo fotografico? Mantenere un eclettismo stilistico e un approccio sperimentale anche in età matura? Si può passare con disinvoltura dal Banco alla Leica, dalla street al paesaggio, al rtiratto e dal bianconero al colore? Penso, ma soprattutto mi auguro di si, nella speranza che “il modello Walker Evans” (che passava tranquillamente dal banco ottico alla macchina nascosta sotto il cappotto nella metro di New York e che ultrasettantenne impazziva per la Polaroid a colori) possa ancor oggi funzionare come funziona ad esempio (al di là della bontà dei risultati o meno) anche nel mio modesto lavoro di fotografo, che al rischio della schizofrenia stilistica e tecnica passa con disinvoltura da un tipo di fotografia ad un altro, e da una apparecchiatura ad un altra e conosce evoluzioni stilistiche molto eclettiche e ben poco lineari. Ma forse questo è solo un modo per non annoiarsi e per sentirsi ancora giovani…. E allora più che agli storici o i critici della fotografia meglio sarebbe rivolgersi a un buon psicologo.

Le mie tre immagini a commento di questo post sono tratte da:
"I Confini della Città" (dal 2001) www.deaphoto.it/biniconfini1.htm
"Nightportraits" (2007) www.deaphoto.it/nightportraits.htm
"Streetflo" (2009) www.deaphoto.it/streetflo.htm

6 commenti:

Roberto Baglioni ha detto...

Beh, cambiare mezzo costringe anche ad una parziale messa in discussione dello sguardo e quindi porta ad esplorare nuovi orizzonti e fornisce nuovi stimoli. Sul punto specifico, cioe' il passaggio dal piccolo formato da street al banco ottico, penso influisca anche l'esigenza di contrastare la bulimia fotografica, l'ossessione dello scatto. Il mezzo ingombrante, macchinoso e costoso rallenta il ritmo di cattura e anche il pensiero si fa piu' ponderato...

Sandro Bini ha detto...

Grazie Roberto per l'attenzione, concordo con quanto specifichi (e che rientra in quello che ho semplificato in "effetto età") ma fatico a trovare una virtuosità acritica nell'unilateralità del percorso. Mi spiego meglio: da quanto dici sembra quasi che dal passaggio dal piccolo al grande e dal tanto al poco, dal veloce al lento ci debba essere per forza un miglioramento qualitativo. Ma siamo sicuri che le foto di street di Meyerowitz siano peggiori dei suoi ultimi paesaggi col banco ottico? O che i lavori giovanili on the road di Stephen Shore siano peggiori di quelli della maturità?. Quello su cui mi interrogo non è tanto sulla legittimità del percorso quanto sulla sua unilateralità, che sembra scongiurare, nella maggior parte dei casi dei salutari ritorni di fiamma. Credo invece che rimettersi in discussione in differenti stili e "formati" possa risultare alla lunga oltremodo salutare per la carriera di un fotografo.

LoiZ ha detto...

nel percorso unilaterale mi pare ci sia anche un costo crescente delle attrezzature necessarie allo scatto. il percorso obbligato segue le tappe di una crescita di investimento economico. spesso si crede che più si spende, meglio si realizza. e la spesa in denaro si affianca ad una maggiore spesa di tempo.
in tutto ciò non trovo ragioni per ritenere che al punto finale del percorso obbligato -l'uso del banco ottico- ci sia una qualità migliore. senz'altro si ha una produzione più elitaria e celebrativa dello scatto quanto di chi lo realizza.
la qualità del genio, dell'artista visuale, invece, è una bestia rara che compare dove le pare. non è la ricetta dell'eclettismo nè quella della moda ad assicurarne la comparsa.

Sandro Bini ha detto...

Si Francesca concordo con la tua acuta riflessione: si tratta anche di un percorso elitario (se vogliamo pure un po' snob) che non esclude gli aspetti economici (non tutti insomma se lo possono permettere). In effetti nella storia della fotografia del 900 l'elite del grande formato c'è sempre stata, ed è nata proprio a inizio secolo proprio in reazione alla democratizzazione della pellicola in rullo e del piccolo formato, e che forse oggi trova un rilancio nell'ulteriore massificazione della pratica data dall'avvento del digitale. Inseriamo quindi pure su tua fine osservazione un ulteriore quarto "effetto elite" che non mi sembra affatto da sottovalutare nel percorso che ho indicato. Purè vero che il genio visivo compare dove e quando gli pare e che per esso non reggono "mode" "scuole" o "formati", ma se il genio va coltivato mi perdonerai se continuo a sostenere (ma è una mia posizione del tutto personale) che l'eclettismo sia un concime più tonificante o semplicemente più divertente, e che sia anche più stimolante andare controcorrente che seguire l'andazzo generale. Grazie per gli spunti di riflessione.

Roberto Baglioni ha detto...

Caro Sandro (e Loiz) gia' ieri volevo rispondere poi il server mi ha dato errore e ho lasciato perdere.
Ma insomma ripeto oggi: lungi da me indicare un percorso a senso unico che vada nella direzione di privilegiare apparecchiature piu' costose ed elitarie. Ben venga invece il coraggio di cambiare e di abbandonare i sentieri consueti.
Noto comunque, giusto come dato di fatto! che i professionisti e le elite del settore hanno bisogno di distinguersi dalla massa degli appassionati, e molto spesso questa presa di distanza passa attraverso l'uso di apparecchiature molto costose, talvolta giustificate da un'esigenza espressiva e talvolta no.

Unknown ha detto...

Mi rivedo molto nella terza ipotesi Binesca, e mi trovo d'accordo con Roberto nella ricerca di stimoli (anche se è questa è tipica del fotoamatore, + che dell'amante di fotografia). ritengo che si debba conoscere la fotografia ed i suoi mezzi a 360° o almeno a coprirlo il più possibile ed adattare il mezzo a seconda dell'esigenza o delle proprie sensazioni. Spesso la mia macchina fotografica è umorale. Così come lo sono le mie banali fotografie.
L'uscire con macchine "vecchie" mi determina un inconscio meccanismo di maggior concentrazione. E qui come dici tu Sandro ci vorrebbe lo strizzacervelli.

A presto
Alb.