venerdì 16 gennaio 2009

Ma siamo sicuri che le ultime foto che facciamo siano davvero le più belle?



Il grande Luigi Ghirri sosteneva che i fotografi italiani non sapessero lavorare sull'Archivio. Sinceramente non so se le cose da allora sono cambiate, ma confrontandomi con i miei studenti e con gli altri colleghi fotografi, noto ancora quella pericolosa tendenza di molti a proiettarsi tutti sul nuovo dimenticandosi del lavoro passato, nel pregiudizio troppo spesso infondato che le nuove immagini siano la sviluppo estremo della loro visione e il vertice massimo della loro ricerca. Con questo non voglio sostenere in modo assoluto che a volte ciò non possa essere, ma invito (al di là di ovvie esigenze professionali), soprattutto per le ricerche più personali, di aver la pazienza, di aspettare, di moderare quella incontrollata voglia di fare vedere a tutti i nostri ultimi scatti. Penso infatti (ma è un'opinione assolutamente personale) che il lavoro di un fotografo per essere correttamente valutato, soprattutto da parte di chi lo ha realizzato, debba sedimentare, ed è per questo motivo credo che penso che il continuo viaggio nel proprio archivio sia un fatto fondamentale per la crescita di un fotografo. Le sedimentazioni possono avere durate variabili e del tutto personali (anche se chi scrive a volte esagera). Ma rivedere i vecchi provini a contatto o piu' o meno recenti cartelle di file è un'esperienza, a volte piacevole, altre frustrante, ma ogni volta nuova, perchè si innesta sulle nuove esperienze che stiamo vivendo in quel momento e regala, a volte, il piacere di ritrovare perle nascoste e quasi dimenticate, misteriosamente legate all'avventura del presente.

Le due immagini pubblicate in questo Post fanno parte della mia Serie Fotografica "Un week end di montagna - Monti Pisani 1998" che fa parte del Work in Progress "Confidenze dai Luoghi" iniziato nel 2002. Se non ricordo male questa serie specifica è stata esposta per la prima volta in una collettiva Deaphoto nel 2004. Stagionatura lunga, quindi, 6 anni! La serie ha avuto a distanza di tempo una valenza "quasi profetica", ma preferisco lasciarvi col mio segreto.

Altre immagini dal Work in Progress al seguente link:

7 commenti:

mamudisegno ha detto...

il vecchio muge ti segue!

io anche c'ho un blogghe (solo foto)
ci dai un'occhiata?
http://maxebcn.blogspot.com/

poi mi dirai
...n'boccallupo.maxe

Anonimo ha detto...

Molto interessanti i due "disfacimenti" che ci proponi nel tuo articolo.

Per quanto riguarda la sedimentazione, vorrei solo dirti che sono sostanzialmente d'accordo con te, ma che per come la vedo io sarebbe interessante legare i diversi strati del proprio archivio non solo ad un'evoluzione della poetica personale o a intime esperienze.
A me piace anche leggerci elementi che esulano dal fotografo. A me piace leggerci i segni del tempo, come fattori tecniologici (che macchina usavi?) e storici che emergono inaspettatamente dalla tua immagine (non mi riferisco, chiaramente, a foto con riferimento storico diretto!)...

Sandro Bini ha detto...

Sono assolutamente daccordo Emanuele. La mia ovviamente era una lettura "tutta interna", dalla parte del fotografo, ovvero di chi ha realizzato lo scatto, se mi ponessi da critico o studioso di fotografia manifesterei anch'io le tue esigenze di sotricizzazone, quindi giustamente svelo le tue curiosità tecniche.
Le foto, sono realizzate con una reflex analogica 35 mm le stampe le ho fatte personalmente in camera oscura (sembra quasi preistoria!)

21 gennaio 2009 10.10
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Sandro Bini
Laureato in lettere moderne, vive e lavora a Firenze. Dal 2001 è fondatore e Direttore responsabile di Deaphoto, Associazione Culturale che si occupa di didattica, progettazione e documentazione fotografica. Attualmente si occupa prevalentemente dell’organizzazione delle attività di Deaphoto, lavorando come insegnante di fotografia, fotografo documentario, stampatore b/n e postproduzione digitale. La sua ricerca artistica è tesa ad un indagine sulle relazioni fra l’uomo e il paesaggio contemporaneo e sulla dialettica critica fra percezione e fruizione dei luoghi, legata alla contestualizzazione della propria esperienza.
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Roberto Baglioni ha detto...

Una ripassata dell'archivio e' per me una pratica fondamentale, che riserva sorprese positive e negative.
A tutto quello che dici e che condivido aggiungo a mo' di proposta questo esercizio che trovo interessante: mi assegno un tema e poi cerco nell'archivio una decina di foto che ci azzeccano... i risultati possono essere molto interessanti e comunque creano percorsi e portano alla luce temi.

Sandro Bini ha detto...

Proposta interessante e da sperimentare Roberto, io invece procedo esattamente al contrario. Dalle foto che mi "pungono" costruisco un tema di ricerca. E' un po la stessa cosa di scrivere prima la musica o i testi... Ecco io preferisco prima la musica, ma ovviamente sono procedure altrettanto valide. Grazie del commento. A presto!

Unknown ha detto...

Ciao Sandro, condivido in pieno la tua riflessione, personalmente ho bisogno di un periodo di tempo più o meno lungo per poter valutare una foto... a meno che non sia uno di quegli scatti che ti colpiscono subito... sottovaluto continuamente delle immagini che successivamente riaffiorano, tuttavia non sempre riesco a ripercorrere l' archivio in senso antiorario. Dovrei farlo più spesso.

P.S. ti anticipo che sono interessato ad un corso di camera oscura, prendila pure come una preiscrizione, ne parlavo proprio in questi giorni con il più giovane dei giovani Holden, in fondo la deaphoto ci manca !!! a presto...

Riccardo

Unknown ha detto...

Ciao Sandro, è un po' che ti seguo perché viviamo nella stessa realtà, Firenze, e abbiamo diverse cose che ci accomunano (credo, parlo di fotografia ovviamente).
Questo tuo ultimo post ha attirato la mia attenzione perché il tema su cui ci inviti a riflettere non è affatto sciocco e ne ho capito l'importanza proprio questi giorni.
L'evoluzione di un fotografo secondo me è composta da varie fasi, la prima, essenziale, è quella tecnica perché la macchina è un animale da addomesticare e perché non si può affermare di aver scattato una foto finché ciò non accade, fino a quel momento è la macchina a decidere al posto nostro.
Successivamente il fotografo aguzza l'occhio, impara a leggere la realtà in modo diverso, diventa egli stesso la macchina e valuta, misura, compone, vede le cose non come le vedeva prima, ma come le vede/può vedere la camera. Inizia una simbiosi che inevitabilmente ci porta a fotografare meglio poiché diventiamo più critici e riflessivi sia in fase di scatto che dopo.
La fase successiva (anche se è sbagliato dividere questa crescita in tre fasi separate e successive tra loro), più rilevante e inerente al tema da te proposto, consiste nella capacità del fotografo di leggere la fotografia, intesa proprio come oggetto/prodotto. Solo ora, raggiunta questa terza fase, siamo capaci di valutare una foto, di leggerne il significato, apprezzarne il valore estetico o storico o commemorativo o qualsivoglia. Perciò quando ci perdiamo per puro caso o per necessità o volontà nell'archivio siamo stravolti dal rivedere certe foto, che prima non prendevamo nemmeno in considerazione perché troppi impegnati a pesarle/valutarle sotto altri aspetti.
Non so se puoi constatare quanto sto dicendo, alla fine è solo la mia esperienza. Fatto sta che ho sono inciampato in vecchie fotografie, ho notato che molte di queste non avevano nemmeno una stella, in realtà valgono molto più di tante foto che anni fa ne avevano meritate ben cinque. Ciò mi rincuora, vuol dire che sto crescendo, o perlomeno che sono cambiato da quando ho iniziato a scattare, spero in positivo.

Massimo