mercoledì 27 ottobre 2010

Il mestiere della scelta: il fotografo ovvero il "selezionatore"

ph Sandro Bini, Senza Titolo, Sett 2010
Dopo più di dieci anni di onesta carriera come fotografo e docente di fotografia, mi sono convinto che il lavoro del fotografo non sia semplicemente quello di fare fotografie ma soprattuto quello di scegliere e di sceglierle: “il mestiere della scelta”. Già provare a diventare fotografi è una strana scelta per la  sua problematica collocazione sociale, economica, culturale nel panorama contemporaneo. Ma tutto nel lavoro di un fotografo è esercizio e facoltà di scelta. Si sceglie perché, cosa, quando e dove fotografare (ovvero le motivazioni, i temi, i soggetti, i tempi e il luoghi del proprio fare immagini), e l’atto fotografico in se stesso, per citare Dubois, è sempre una drastica selezione e trasposizione dal continum spaziale e temporale del reale. Dallo spazio (potenzialmente infinito) si seleziona un rettangolo, un quadrato, una porzione di campo e la si ritaglia con il mirino; dal flusso temporale continuo congeliamo un preciso istante, “un momento decisivo” e depositiamo il tutto su una superficie, bidimensionale (muta e immobile) di carta o luminosa (schermo). Ma anche dal punto di vista tecnico (dalla scelta della macchina fotografica, alla lunghezza focale dell’obbiettivo, dai tempi ai diaframmi, dal colore al bn, dall’analogico al digitale, dal bilanciamento del bianco, all’jpg o al raw) tutto in fotografia è un esercizio di selezione e di scelta fra opzioni già programmate (Flusser). Tanto che la libertà fotografica non è l’mmaginazione al potere, ma una sorta di libertà controllata, di opzioni fra possibilità date e reali, e questo – attenzione - anche per quanto riguarda la postproduzione: scelta del programma e scelta fra una gamma di strumenti preconfezionati per ottenere un determinato “effetto”. E che dire poi del cosiddetto editing? Che cos’è l’editing se non la scelta, la selezione per l’impaginazione delle fotografie realizzate? Bene tutto questo solo per dire che fotografando esercitiamo le nostre “capacità politiche”, che sono sempre capacità di selezione e di scelta fra opzioni date e reali. Breve e superficiale come sempre. Ai commentatori il compito di riflettere e approfondire.

domenica 3 ottobre 2010

Il "rumore del reale": il fotorealismo nell'epoca del digitale

                    
Sandro Bini, Vipernight (2008)
Non occorrerebbe più scomodare Walker Evans e il suo “stile documentario” per ribadire che il “realismo” in fotografia non è che una convenzione: una questione di stile e di linguaggio. Più interessante sarebbe indagare come si è evoluto il concetto di realismo in fotografia e cosa sia oggi il fotorealismo. Limitandosi al '900 negli anni 30 alcuni fotografi americani  ed europei (fra cui Walker Evans, August Sander) definirono realistico un linguaggio diretto, oggettivo, formale e austero (frontalità, centralità del soggetto, posa, impeccabile resa tecnica e formale) che desse piena "trasparenza" e "oggettività" ai propri soggetti; uno stile, voluto e ricercato, da contrapporre alle estetiche pittorialiste e moderniste allora in auge. A partire dalla seconda metà degli anni 50 e poi a seguire nei due decenni successivi i nuovi street photographer, soprattutto americani (Frank, Winogrand, Friedlander), portarono il fotorealismo nell’ambito della performance fenemenologica  e della istintività del gesto, del comportamento e del linguaggio, indirizzandolo nell’ambito del soggettivamente esperibile e del formalmente destrutturato. Ma oggi in epoca digitale cos’è il fotorealismo? Limitandosi volutamente ed esclusivamente alla “superficie dell’immagine”, senza indagarne i contenuti, cosa appare formalmente più fotorealistica oggi? Un’immagine tecnicamente impeccabile, nitida e patinata o una mossa, leggermente sfuocata, magari desaturata e piena di “rumore”? Insomma se in fotografia anche il realismo è una convenzione, cosa più ci comunica oggi il “rumore del reale”? Le immagini low-fi dei sistemi di videosorveglianza, dei cellulari e delle webcam, o quelle patinate e supernitide, non solo di tanta fotografia di moda e pubblicità, ma anche di reportage?  Mi scuso, anticipando probabili critiche, per la sintesi un po’ semplicistica e la parzialità con cui affranto un argomento così vasto e concettualmente problematico, ma la soglia di attenzione sulle pagine dei Blog come si sa è davvero molto bassa, e ciò che mi propongo davvero in queste pagine è soprattutto buttare sassolini nello stagno: stimolare la discussione e la riflessone e perchè no la critica, in modo da approfondire i temi e moltiplicare le prospettive di analisi, attraverso i vostri apprezzati commenti e contributi.