A torto o ragione uno dei pregiudizi
più comuni sui fotografi è che siano più o meno tutti egocentrici e narcisi. Mi
sono chiesto e ho riflettuto sui motivi di questo luogo comune che, come tutti
i luoghi comuni, ha le sue ragioni di esistere. Ma più che altro mi sono
chiesto quali potrebbero essere le “buone pratiche” per farci uscire almeno un po' dal
circuito perverso dell’autoreferenzialità che alimenta questo giudizio. Già
negli ultimi decenni la nascita dei collettivi fotografici ha sfidato e
sfatato la mitologia del fotografo come cavaliere solitario e rilanciato l’idea
di comunità collettiva dove il "noi" possa bilanciare l’io, le pratiche del
crowdfounding hanno promosso poi nelle nuove generazioni un nuovo concetto di
solidarietà condivisa per la
produzione
di progetti espositivi ed editoriali e sono nati progetti collettivi
direttamente da
esperienze di rete. Ma nel più ordinario tran tran quotidiano della
pubblicazione e condivisione di immagini fotografiche sui social credo
potrebbe
essere buona pratica comune condividere con regolarità ognuno sul
proprio profilo le foto e i
progetti di quei fotografi che davvero ci piacciono e che davvero
apprezziamo,
magari anche una volta ogni tanto, per togliersi un po’ di
autoreferenzialità
di dosso. Non dovremmo però aspettarci nessun tipo di “ritorno”, insomma
la
buona pratica non deve assolutamente diventare “condivisione di
scambio”, come
purtroppo sta succedendo in parte per i famigerati “like”, ma possono
nascere "affinità elettive" capaci di stimolare il confronto, il
dibattito e perchè no la progettualità comune. Io, nel mio piccolo, ho
iniziato da qualche settimana a condividere sul mio profilo FB immagini di
autori e colleghi i più o meno noti postate sulla timeline di FB, ne è nata una
sorta di “collezione virtuale” rintracciabile all’hastag
#altrifotografi, rivederla ogni tanto fa davvero piacere: alimenta un virtuoso
confronto e mi ricorda che non esisto solo io e le mie fotografie. Un ringraziamento ad Andrea Buzzichelli per la foto copertina di questo articolo che fa parte di questa nuova raccolta. Buone pratiche a tutti!
Spazio di riflessioni visive, teoriche e pratiche sul gesto fotografico contemporaneo. A cura di Sandro Bini
giovedì 27 agosto 2015
giovedì 20 agosto 2015
La fotografia? Un'opinione. Piccolo manifesto per un relativismo fotografico
Sandro Bini, my opinion, firenze 2015 |
Ma insomma dopo tanto dibattere che cos'è la fotografia? Lasciando da parte le questioni tecniche altrettanto spinose, se circoscriviamo il campo all'irrisolto e irrisolvibile problema filosofico (ontologico o fenomenologico che sia) ecco direi che la fotografia è un'opinione, nel senso pirandelliano che ognuno di noi ad ogni livello e grado quando parla di fotografia fa riferimento, in rapporto alla propria cultura e appartenza, a un orizzonte sentimentale e culturale più o meno precisato e ad un altrettanto più o meno vago reportorio visivo, suffciente però a differenziarlo in maniera più o meno netta da quello di tutti coloro che gli stanno accanto. Capita spesso infatti nei dibattiti on line e non solo che qualsiasi questione posta venga riportata fatalmente e immediatamente in questa bolla soggettiva o di "casta" in cui si dimentica troppo spesso che la fotografia non è solo quella "come la pensiamo, la facciamo e la vorremmo noi" ma, volenti o nolenti, è anche quella "come la pensano, la fanno e la vorrebbero gli altri". E allora apriti cielo! Il fraintendimento è immediato, la polemica, spesso feroce, in agguato. Il relativismo pirandelliano viene infatti poco praticato da chi più o meno appassionato o dentro le questioni professionali e "artistiche" del medium deve difendere "La Fotografia", che poi non è altro che quella che lui crede che sia o che perlomeno dovrebbe essere. Troppo spesso il fervore proselitista e oserei dire missionario non lascia scampo: gli altri si devono convertire alla nostra fede! E questo fervore ovviamente è tanto più forte quanto è più forte il coinvolgimento professionale e sentimentale. Si pensa subito che qualsiasi opinione estetica o disamina antropologico-sociale del fenomeno fotografico condotta a vario titolo e grado da vari studiosi e intellettuali o da semplici amici, colleghi e conoscenti debba essere per forza preferibilmente indirizzata a "noi", all'aristorazia del fotografico, ai depositari della "fede", a questa elite del resto ampiamente differenziata e divisa in tante parrocchie, unica in grado di legittimare o meno i contenuti delle opinioni espresse. Solo i Fotografi con la F maiuscola hanno diritto di parola e di replica perchè la fotografia loro la "fanno" (anche se sarebbe più corretto dire la prendono) e sopratutto la fanno come si dovrebbe fare... E tutti gli altri che magari a vario titolo e grado la studiano e la analizzano nelle varie pratiche sociali, magari dando voce anche a quelle cosidette meno "nobili", o che quotidianamente scattano, postano e condividono miliardi di fotografie sui social veramente non contano niente? Davvero non hanno diritto di parola? Veramente non influenzano l'opinione pubblica, la produzione, il mercato, la società, la cultura e lo stile fotografico di noi eroi della visione colta e consapevole? Pensiamoci bene (anche guardando al passato) e sopratutto smettiamola di riferire, nel bene e nel male, il tutto-fotografico al nostro piccolo mondo cavalleresco, alla nostra tavola rotonda, non perchè dobbiamo rinunciare alle nostre raffinate pratiche e alle nostre belle idee, ma perchè dobbiamo capire che è importante confrontarsi con rispetto anche con quelle degli altri, comprendere appunto che la fotografia non è "nostra" ma è di tutti coloro che la praticano con ogni mezzo e fine, che la fotografia insomma è "una, nessuna e centomila" e che con l'avvento del digitale e dei social è diventata soprattutto una pratica quotidiana, un flusso continuo di comunicazione, relazione e scambio che interessa non solo una elite di appassionati ma la vita di tutti. Un ringraziamento a Barbara Silbe per aver dato spunto a questa mia riflessione, in attesa di repliche appassionate!