ph Sandro Bini - Love frames - Parigi 2001 |
Se il dibattito non solo teorico sulla
fotografia ruota ormai da quasi un decennio sulla vera o falsa che sia
rivoluzione digitale, che ha portato in ogni caso notevoli conseguenze su
comportamenti fotografici e pratiche sociali, questa volta voglio
interrogarmi e interrogare i miei lettori per cercare di capire quale sia la
differenza (profonda e non solo di superficie) fra un Analogic born e un Digital native: ovvero fra chi come me è nato fotograficamente in era analogica
e ha patito più o meno il passaggio al digitale e chi come molti giovani nati
negli anni Novanta è cresciuto fotograficamente in era digitale e non ha conosciuto
se non marginalmente rullini, laboratori, sviluppi e stampe dove guardare le
fotografie scattate per la prima volta. Che differenza c’è insomma fra un madrelingua
digitale e un digitale acquisito? Chi meglio se la cava con pixel menu e
software e chi comprende meglio la natura del fotografico? E se un Digital
native ritorna all’analogico? Come se la cava? Questo ritorno ha un influenza
sulla sua visione e la sua pratica anche quando fotografa in digitale? Ci sono
in rete gruppi di analogici integralisti e digitali convinti, e tutti con
ottime motivazioni (etiche, estetiche ed economiche) a difesa della loro scelta.
A me piace collocarmi e difendere invece una posizione intermedia, diciamo
crossover, che utilizza e pratica, a seconda dei casi e senza particolare
enfasi o sgomento, le due tecnologie per adesso ancora disponibili sul mercato. Mi viene
in mente subito, come spesso mi capita, il paragone con il panorama musicale, dove la
rivoluzione digitale è avvenuta con qualche decennio d’anticipo, ma dove
esistono tuttoggi strumenti analogici e strumenti digitali e musicisti che
preferiscono gli uni o gli altri o che invece sperimentano contaminando le tipologie
dei suoni. Ma tornando alla domanda principale (Quale la differenza fra un Analogic born e un Digital native?), a parte aimè l’età, credo che stia sopratutto nella
faticosa resistenza di atteggiamento forse più attento e responsabilizzato
verso lo scatto e ad un piacere della
dilazione e della “latenza” dell'immagine più allenata perché più o meno a lungo coltivata:
un approccio maggiormente “desiderante” che non si accontenta ancora del
riconoscimento immediato (I like) ma ne ricerca forse, ancora non si sa per
quanto, uno più duraturo nel tempo (I love).